Su di me

Roberto Girometti, classe 1939, ha alle spalle una decennale gavetta al cinegiornale La Settimana Incom. Dal ‘71 inizia ad occuparsi di fotografia per il cinema con il grande Roberto Rossellini.

Allora Roberto, raccontami degli inizi. Come hai cominciato?
La cosa è molto divertente. Dopo le scuole tecniche, eravamo agli inizi degli anni sessanta (magici), accompagnai una carissima amica che faceva l’attrice, alla Settimana INCOM, per un appuntamento con Sandro Pallavicini, con l’occasione me lo feci presentare. Dopo una chiacchierata con il Presidente Pallavicini ad un certo punto mi disse di fargli una domanda. Risposi, che non avevo niente da domandare, e dopo un attimo mi resi conto che intendeva una domanda scritta per essere assunto come assistente operatore. Credo che mi sarei preso a schiaffi da solo, per la figuraccia. Ma non finisce qui, si fece portare carta e penna dal suo maggiordomo segretario e mi disse: “Come ti chiami?”. Non ti dico come mi trovavo, che senso di disagio. Scrisse la lettera me la consegnò con una busta mi disse di firmarla e di spedirgliela, (era un grande, aveva capito l’imbarazzo di un giovanotto di borgata, arrivavo da Porta Portese, e potreste leggere il libro LA STORIA di Elsa Morante per capire meglio chi eravamo). Una settimana dopo entravo a far parte di quel posto stupendo che è stata la mia scuola di cinema che era La Settimana INCOM.

Che anno era?
Era il 1962

Girometti non lesina mai azzeccati consigli letterari. Hai lavorato con i più grandi registi, tra i quali, appunto, Roberto Rossellini, puoi dirci qualcosa di lui?
Conoscere Roberto Rossellini è stato una specie di sogno. Collaboravo da un po’ di tempo con il figlio Renzo e con la sua produzione, avevo fatto una serie di filmati e di documentari, tra i quali uno a Cuba per la regia di Beppe Ferrara e collaborazione giornalistica di Saverio Tutino.
Un giorno venne a trovare Renzo mentre c’era una riunione di un gruppo di lavoro, tra i quali c’erano, Emidio Greco, Paolo Poeti, Antonio Troisio, Augusto Caminito, e mi sembra anche Vincenzo Cerami, io, e naturalmente Renzo il figlio. Roberto Rossellini doveva girare i titoli di testa, per una cosa che aveva girato per la televisione che era La lotta dell’uomo per la sua sopravvivenza, Renzo gli parlò di me, e da qui iniziò questa collaborazione con R. Rossellini. L’anno dopo, era il 1971, R. Rossellini fu invitato in Cile per l’operazione Verdad voluta da Salvador Allende, che democraticamente era diventato Presidente del Cile. Iniziò questo stupendo viaggio in Cile.

E com’era Roberto Rossellini?
Scoprii una delle persone più belle, affascinanti, colte, carismatiche, e soprattutto, cosa che non si dice mai di R. Rossellini, aveva un’ironia che non ho mai trovato in nessun’altra persona. In questo viaggio in Cile, intervistammo il presidente S. Allende e passammo con lui vari giorni stupendi, nella sua casa di via Tomas Moro, pensatore dell’utopia, forse era il caso.

Raccontaci un po’ di queste due grani personalità.
Sì, erano due persone stupende per me, perché è stato l’incontro di queste due grandi persone, R. Rossellini e S. Allende, la cultura europea e la cultura latino americana. In tutto questo un grande abbraccio ad Emidio Greco che la regia del documentario Vincimos y Vinceremos. Ed io con lui sempre in Cile.

Quanto è importante la fotografia nel cinema?
E’ una bella domanda, perché, senz’altro sarà difficile rispondere senza creare qualche problema. Pensa che la fotografia deve aiutare tutti i reparti che fanno parte del set, la scenografia, i costumi, il trucco, e le altre categorie con grande attenzione alla storia che il regista sta raccontando. Per cui sono certo che la fotografia cinematografica sia un grande aiuto per tutti e per il film.

Al di là dell’aspetto tecnico cosa differenzia un autore della fotografia da un altro, il suo stile?
Questa domanda, secondo me è legata alla precedente, il discorso può essere culturale, alle proprie amicizie, alla famiglia, all’educazione, alle conoscenze, visto il tutto dalla propria ottica, e poi molto importante dall’incontro e dal pensiero del regista. Ed infine dai mezzi tecnici e di illuminazione che ognuno di noi usa, perché oggi c’è una grande varietà di scelta. Pensa se un film raccontasse una storia vista da un bambino di 4 o 5 anni, il punto di vista sarebbe differente se visto da un adulto, e questa già sarebbe una scelta tecnica.

Che differenza c’è tra autore e direttore della fotografia cinematografica?
Se si va a vedere la cinematografia prima degli anni quaranta si firmava “Fotografia di”. Poi per delle incomprensioni che ci sono state nel nord America, quando il tecnico di regia è diventato direttore, anche i tecnici di fotografia hanno pensato di diventare direttori della fotografia, secondo me. Poi sul set ogni capo reparto è autore del proprio lavoro, per cui tutti insieme i coautori dell’opera cinematografica. Immagina una orchestra. ’è il direttore d’orchestra. Pensa se ci stesse il direttore dei violini, il direttore degli ottoni, il direttore dei flauti... Sarebbe la saga dei direttori, invece c’è il primo violino, e poi via via tutte le altre specialità. Non ci dovrebbero essere differenze tra la fotografia cinematografica e televisiva, perché il giorno è giorno, l’alba è alba, il tramonto è tramonto e la notte è notte. Anche se cambiano i supporti per fare cinema e per fare televisione, non ci dovrebbero essere differenze. Credo che per il prodotto televisivo si stia perdendo la qualità in funzione della quantità. Un’altra cosa importante è che nel prodotto televisivo, dopo che l’autore della fotografia ha dato una copia da lui lavorata in post-produzione, e da lui scelto il tono fotografico, quando invece arriva in una qualsiasi rete televisiva, molte persone ci lavorano sopra, per fare i vari trasferimenti in analogico o digitale, le quali non sanno niente della storia ideata della soluzione artistica e della situazione tecnica.

E quindi si perde un pò’ la qualità?
E sì, a questo punto un arrivederci alla qualità.

Hai girato anche documentari con Minà e hai avuto la possibilità di incontrare persone come Fidel Castro e Salvador Allende, che idea ti sei fatto?
Penso di essere stato molto fortunato per tutte le persone che ho incontrato facendo cinema, documentari e inchieste cine-giornalistiche. Come già detto ho iniziato ad un cinegiornale, La Settimana INCOM. Quanti ricordi! E di persone ne ho incontrate e intervistate veramente molte, dalla politica, alla cultura, allo sport, alla scienza, e non sto qui a fare i nomi, e credete sono veramente molte. Con R. Rossellini prima S. Allende, e con Gianni Minà Fidel Castro è stata una grande esperienza, perché credo che averli conosciuti mi abbiano lasciato dentro un senso di amare di più e rispettare di più la mia vita e quella degli altri. E come dice J. P. Sartre: “Il ricordo è l’unico paradiso dal quale non possiamo venire cacciati “

Che consiglio daresti ad un giovane che vuole avvicinarsi alla fotografia per il cinema?
Non è proprio da me dare consigli, posso dire solo una cosa: trovare secondo il mezzo che si usa per fare cinema il massimo della qualità, senza cercare compromessi.

Esperienze come regista?
Sono molto legato ad un mio film, dal titolo Mafia una legge che non perdona, che scrissi tanti anni fa con un mio amico. La storia era presa da un fatto di cronaca. Nel mio piccolo ho sempre cercato di combattere i prepotenti, e questa storia lo era, ho cercato di raccontare con questo film di stare attenti alle persone che cercano di raggiungere i loro scopi con mezzi poco leciti. Forse è utopia. Comunque mi diverto molto di più a collaborare con il regista, con tutto il resto della troupe, facendo l’autore della fotografia cinematografica.

Ascoltare Roberto Girometti che racconta il cinema è un po’ come mangiare un piatto di ciliege: un argomento tira l’altro. Non smetteresti mai...
Geneviève Alberti (ArtWhere - L'eco della riviera)
Curriculum Vitae
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Programma aggiornato
MICROSOTORIA DEL CINEMA PER RAGAZZI.pdf
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